Era un centrocampista dai piedi buoni ma aveva anche la caratteristica di avere due polmoni speciali che gli permettevano di iniziare a correre dal primo minuto di gioco e fermarsi solo quando l’arbitro fischiava la fine. In campo era un generoso, fuori una persona riservata ma capace di “architettare” scherzi anche pesanti; ne sanno qualcosa i suoi ex compagni delle varie squadre in cui ha militato.
Debutta giovanissimo, a 16 anni e mezzo, con la Robur Grottammare e il giorno della sua prima apparizione, l’11 gennaio 1953, segna anche il suo primo gol ai Cantieri Navali Riuniti di Ancona. Disputa due campionati con la maglia biancoceleste della sua città, si mette in mostra, arrivano le richieste da molte società, alla fine a spuntarla è la Sambenedettese. In verità, nel maggio del 1953 fu chiamato a Torino per un provino con la Juventus assieme al suo compagno di squadra Nazario Sauro Santarelli, accompagnati dal dirigente Nino Pirani al quale oggi è dedicato lo stadio di Grottammare. Per Mimmo il provino andò molto bene, era pronto il contratto con la “signora” del calcio italiano ma ci si mise di mezzo un’altra signora, ossia la mamma del nostro calciatore: dava il benestare al trasferimento a Torino solo dietro la promessa che avesse terminato gli studi scolastici. Evidentemente quella promessa non ci fu se il giovane Guglielmo rimase ancora un anno a Grottammare e l’anno dopo approdò alla Sambenedettese.
In maglia rossoblu il primo anno gioca nel settore giovanile e la stagione successiva con la squadra Riserve. Il 28 ottobre 1956 arriva finalmente il debutto in Serie B a Legnano (1-1); in quella prima esperienza tra i professionisti saranno 15 le presenze con due reti (la prima nella gara casalinga con il Brescia, 2-1, del 3 marzo 1957). Con la Samb colleziona in totale 132 presenze condite da 16 reti. Nell’estate del 1961 è pronto a spiccare il volo verso la Serie A, sono tante le richieste che arrivano alla sua società; alla fine, però, Mimmo sceglierà la Lazio appena retrocessa tra i cadetti ma in procinto di allestire una grossa squadra per tornare immediatamente in massima serie. Tra i biancocelesti capitolini lui disputerà un grande campionato (29 presenze, 0 reti), venendo premiato in quasi tutte le partite come miglior giocatore da un pool di giornalisti, ma la promozione viene mancata per un soffio: quarto posto finale ad un punto dalla terza (il Napoli), ultima posizione utile per salire. La Lazio assicura a Mecozzi che lui sarà il primo riconfermato e attorno a lui costruiranno la nuova squadra per tentare l’assalto alla Serie A. Ma non sarà così, anzi verrà usato come pedina di scambio per arrivare a Vito Florio del Catanzaro. Il nostro non si scompone, prepara le valigie e si trasferisce in Calabria dove in tre anni di Serie B colleziona altri 98 gettoni (per un totale tra i cadetti di 259 presenze e 16 reti, quelle con la maglia rossoblu). Nonostante a Catanzaro fosse diventato un beniamino dei tifosi e non vedendo più la possibilità di arrivare alla massima serie, nell’estate 1965 decide di tornare a casa per rivestire di nuovo la maglia della Samb (che tanto gli aveva dato), nel frattempo retrocessa in Serie C. Arretrando la sua posizione in campo, diventa un libero (oggi si direbbe centrale di difesa) dai piedi buoni e dalla grande visuale di gioco: in due campionati disputa 41 presenze segnando 1 rete e gioca, tra gli altri, con un giovanissimo Franco Causio e con un altro grottammarese in rampa di lancio, quel Piernicola Virgili che svilupperà poi la sua carriera quasi interamente a Crotone.
Gli acciacchi a 32 anni cominciano a farsi sentire, così Mecozzi decide di tornare dove aveva iniziato, ossia alla Robur Grottammare che dopo averlo lanciato come giocatore lo fa debuttare anche come allenatore. Due anni nella sua città, poi due anni a Matelica dove vince un campionato sempre allenando e giocando. Nel 1972-73 torna alla Robur per fare un piacere all’allenatore, il suo caro amico Dante Bendin, ex portiere della Samb, giocando 7 partite. Poi approda alla Truentina Castel di Lama come allenatore a sostituire l’esonerato Cesare Vagnoni, passa da Acquasanta Terme per venire chiamato - nel 1976-77 - dall’amico Paolo Beni a fargli da vice a Tolentino in Serie D, allenando al contempo la squadra Juniores. Per uno scherzo del destino, gli toccherà sostituire in prima squadra nelle ultime sei giornate di campionato l’esonerato Beni. Conclude la sua breve carriera da allenatore nel vicino Abruzzo, allenando - nel 1977-78 - il Nereto, ma l’esperienza non è delle più fortunate; un fastidioso problema all’anca che lo affligge da alcuni anni (e che si porterà dietro fino alla fine), lo costringe a lasciare la squadra a fine novembre. Tra i suoi giocatori dei rossoblu vibratiani c’era un arcigno mediano il quale, l’anno dopo, appesi gli scarpini al chiodo, intraprenderà una sfavillante carriera da arbitro che lo porterà a raggiungere il grado di internazionale: il suo nome è Walter Cinciripini.
In sostanza, una vita spesa sui campi di calcio sempre con la massima rettitudine ed onestà; una sola volta espulso, quando militava nella Lazio e - ironia della sorte - proprio contro la Sambenedettese (1 ottobre 1961). Ma su questo fatto ci sarebbe da aprire un altro capitolo per raccontare come andarono le cose.
Ora lo immaginiamo in Paradiso a raccontare gli aneddoti sul calcio agli amici, come faceva negli ultimi anni al Circolo dei Pensionati sotto la Pineta di Grottammare o al Bagno delle Stelle, dove la domenica si recava a mangiare con il suo inseparabile amico Fausto Addazi.
Ciao Mimmo, grazie della tua amicizia e dei tuoi racconti, e - se puoi - dall’alto dai una “spinta” alla Sambenedettese… e al Grottammare. Buon viaggio.
Michele Rossi